Un maggior consumo di caffè è stato inversamente associato all'incidenza di malattie epatiche croniche negli studi di popolazione.
E’ stata esaminata la relazione tra consumo di caffè e la progressione delle patologie epatiche in stadio avanzato associate a infezione da virus dell’epatite C ( HCV ).
Si è valutata l'assunzione basale di caffè e tè in 766 soggetti partecipanti allo studio HALT-C ( Hepatitis C Antiviral Long-Term Treatment against Cirrhosis ) con fibrosi a ponte o cirrosi alla biopsia epatica, e avessero fallito nel raggiungere una risposta virologica prolungata al trattamento con Peginterferone associato a Ribavirina.
I pazienti sono stati seguiti per 3.8 anni per le rilevazioni cliniche e, per quelli senza cirrosi, è stato rilevato un incremento di 2 punti nel punteggio Ishak per la fibrosi.
Al basale, il più alto consumo di caffè è stato associato a steatosi di minor gravità all’esame bioptico, più basso rapporto AST/ALT, alfa-fetoproteina ( AFP ), insulina, punteggio HOMA2, e più alti livelli di albumina ( P
Erano disponibili gli esiti per 230 pazienti.
Il tasso degli esiti diminuiva con l’aumento del consumo di caffè: 11.1 per 100 persone all’anno per nessuna tazza, 12.1 per meno di 1 tazza al giorno, 8.2 per meno di 3 tazze e almeno 1 tazza al giorno, e 6.3 per 3 o più tazze al giorno ( P=0.0011 ).
Il rischio relativo ( RR ) è stato di 1.11 per meno di 1 tazza al giorno, 0.70 per 1 o meno di 3 tazze al giorno, e 0.47 per 3 o più tazze al giorno ( P=0.0003 ), rispetto a nessuna tazza.
Le stime del rischio non sono variate per trattamento assegnato o per lo stadio della cirrosi alla rilevazione basale.
L’assunzione di tè non si è dimostrata associata agli esiti.
Dai dati di uno studio prospettico con pazienti affetti da patologie epatiche in fase avanzata, correlate all’infezione da virus dell’epatite C, il consumo regolare di caffè è stato associato ad una minore incidenza di progressione della malattia. (Xagena2009 )
Freedman ND et al, Hepatology 2009; 50: 1360–1369
Gastro2009 Inf2009